Annunziata De Comite (Arscape) con la collaborazione di Andrea Milani (Studiomilani)

PROGETTARE GREEN

La definizione di sostenibilità universalmente riconosciuta è contenuta nel cosiddetto rapporto Brundtland “Our Common Future” secondo il quale la sostenibilità è in grado di generare un tipo di sviluppo che può <<assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri>>.



Dalla fine degli anni 80 ad oggi, questo concetto è stato ampliato e declinato in relazioneagli specifici campi di applicazione.

In architettura il significato di sostenibilità sottindente la progettazione di edifici in grado di minimizzare il loro impatto sull’ambiente in termini di emissioni di co2 (che implica la scelta di tecnologie costruttive e materiali in grado di soddisfare queste prerogative) nonchè di prestazioni energetiche. Questa definizione presuppone che un altro elemento entri in gioco nel bilancio complessivo e cioè l’utente finale e il suo benessere.

Non sempre però in questi ultimi decenni l’architettura è stata in grado di rispondere a questa sfida. I due anni di pandemia trascorsi ci hanno dimostrato i limiti delle nostre abitazioni, ogni errore o mancanza nella loro forma progettata, nel colore degli ambienti, nella posizione e dimensione delle finestre costringendoci al confronto con i nostri bisogni più stringenti: la necessità di senitrsi liberi tra quattro mura, di poter percepire il respiro del mondo anche chiusi dentro una stanza.

Dalla piccola alla grande scala l’evoluzione del concetto di sostenibilità ha conseguenze anche sul progetto del territorio. In questo ambito la sotenibilità si applica delineando cambiamenti assorbibili/assimilabili dai nostri territori in maniera fluida, cambiamenti che la popolazione che li abiterà potrà riconoscere come propri e quindi naturali, quasi spontanei. Il confronto con i nostri territori apparentemente immutati nel tempo, eppure dinamici e in continuo adattamento nei secoli ai nuovi usi e abitudini via via interventuti al loro interno, richiede estrema delicatezza e rispetto nello studio delle tracce tramandate attraverso gli anni eppure grande forza e chiarezza nell’azione progettuale proposta.

Se è necessità diffusa e ineliminabile quella di attenersi all’ecosostenibilità come concetto trainante delle progettazioni contemporanee (salvo verificare nel tempo la reale sostenibilità di alcune scelte tecnologiche che stiamo adottando ad esempio nella produzione di energie alternative), nel nostro lavoro l’assunto di partenza è che la giusta intonazione al nuovo uso e alle nuove aspettative da proiettare nelle nostre città e campagne non possa trovarsi nella dissimulazione di cosa non si è più o nello scimmiottamento di forme abitative non più attuali o improprie per i nuovi usi, non può più significare rinuncia alla ricerca formale e alla visionarietà, alla ricerca estetica e poetica che hanno reso il nostro paese tanto speciale nei secoli.

La sfida di oggi nella mediazione tra la sostenibilità (ambientale, sociale ed economica), l’architettura e il paesaggio in quanto espressioni formali del vivere quotidiano, è la creazione di soluzioni formali che non vengano prevaricate dal dettaglio tecnologico (pannelli fotovoltaici, cappotti, brie-soleil), che applicato nella sua forma originaria spesso snatura la cultura dei luoghi e uniforma verso il basso il valore estetico del prodotto architettonico o paesaggistico finale.

In questa mediazione la risposta progettuale non può che garantire una rispondenza specifica a temi, a consessi culturali e antropoligici oltre che a luoghi specifici e per questo ogni volta unici e riconoscibili. Non possono più essere seguite scorciatoie per le quali la tecnica e la tecnologia e quindi la presunta “buona architettura” possano prevalere sulla bellezza interpretata come non necessaria e per questo trascurabile. Non possono comparire baite in Toscana solo perchè il legno lamellare è reputato sostenibile o cappotti ugualmente risolti in Trentino Alto Adige come in Sicilia. Il clima è diverso, la gente proviene da contesti culturali e sociali diversi e diverse dovrebbero essere le forme per risolvere i temi progettuali nei diversi territori. Leggevo qualche giorno fa che l’Italia rispetto al livello di ricerca e applicazione del concetto di sostenibilità di altri paesi è attardata prevalentemente a causa del fatto che si costruisce meno che altrove.

Questa è una realtà legata alla carenza di fondi strutturali o privati, alla necessità di garantire un patrimonio storico-architettonico unico al mondo attraverso norme spesso stringenti e limitative dell’iniziativa pubblica o privata.

Eppure di fronte alla sempre più rara opportunità di un progetto il nostro impegno deve essere ancora più stringente e determinato: il lavoro di progettazione deve iniziare proprio da una seria indagine delle relazioni peculiari del contesto geomorfologico e di quello sociale che nel tempo hanno determinato le caratteristiche etiche e culturali del luogo e della comunità nel quale siamo chiamati ad agire. Un analisi approfondita, finalizzata a creare un empatia dialettica tra la nostra azione progettuale e gli ingredienti fisici e metafisici del sito, per rendere sostenibile l’ intervento progettuale in quello specifico ambito/contesto, lungo il suo percorso di vita e oltre, secondo un sistema valoriale che nella sua “sostenibilità estetica” possa renderlo iconico e quindi unico, dialogante, interagente per assonanza o dissonanza con l’impianto dei valori e delle caratteristiche che saldano un territorio ad una comunità. Per questo in sintesi, per identificare il carattere del nostro lavoro combinato tra paesaggio e architettura, parliamo di Site specific, Timeless e Iconic. In questa armonizzazione selettiva delle tracce raccolte nella forma dei territori e dei loro abitanti (forma come abito) la prima conseguenza é assumere il contesto paesaggistico urbano, agricolo o naturale che sia) non come vincolo ma come opportunità assecondandone le caratteristiche sia dal punto di vista materiale che da quello immateriale.

La forma di un luogo infatti è composta da tracce visibili e invisibili scritte nel comportamento degli abitanti, nel loro modo di relazionarsi come comunità e anche al contesto, nel loro modo di denominare i luoghi spesso con toponimi apparentemente ermetici che però già ne evocavano l’ uso o la consuetudine.

La domanda da porsi è fatte queste considerazioni quale sia oggi un’ architettura possibile. Dando per irreversibile come dicevamo l’impiego di materiali da costruzione ad alta performance energetica e strutturale è proprio la Sostenibilità Estetica che deve diventare la sintesi delle tre categorie alla base del nostro lavoro progettuale, quella capacità dell ‘opera di avere un Aura, una unicità specifica in grado di farla dialogare per assonanza ma anche per dissonanza con l’impianto dei valori e delle caratteristiche che saldano un territorio ad una comunità e simultaneamente di farla risultare parte dell’evoluzione concettuale del tempo nella quale si colloca.

Il lavoro di progettazione è così un’esperienza che si rinnova quotidianamente e si aggiusta e declina progressivamente senza preordinamenti o modelli ripetibili pedissequamente. Questa modalità progettuale non sempre, anzi quasi mai, è sostenibile nei costi e nei tempi che impone essa stessa al progettista, come anche nel suo posizionarsi all’interno di un contesto normativo che sovrastruttura burocraticamente i processi approvativi e naridisce a monte anche quelli creativi. La burocrazia che punisce penalmente anche l’amministratore crea rigidità nella relazione tra professionista e istituzioni penalizzando irrimediabilmente quella che dovrebbe essere una interazione di scambio e crescita, non di antagonismo e autoprotezione. Non basta più rispettare i dettami o le convenzioni non scritte derivanti da interpretazioni spesso semplicistiche e cautelative delle norme per garantire la trasformazione sostenibile dei nostri territori: l’architetto deve recuperare il suo ruolo politico e decisionale afferente alla parte creativa e immaginifica del suo lavoro e avere il coraggio, la forza, la costanza di credere nelle suo lavor anche quando risultasse “insostenibile”. Che si tratti i un museo o di residenze sociali, il nostro ď modo di operare, sia pure con parametri diversificati, punta a questi obbiettivi convinti che si debba superare definitivamente la stagione della architettura brutta e in quanto tale, intelligente!

Annunziata De Comite (Arscape) con la collaborazione di Andrea Milani (Studiomilani)