di Maddalena ZuddasGuida Ambientale Escursionistica e Guida Turistica

L’Elleboro verde di Boccone

L’Erba nocca

Sono passati ormai molti anni da quando lavoravo come Guida Ambientale Escursionistica per il Museo etnografico del bosco e della mezzadria di Orgia in Val di Merse, ma ancora ricordo che un giorno, agli inizi della primavera, mentre ero nel bosco con una scolaresca, incontrammo un vecchio contadino che si fermò e ci chiese: “Conoscete l’erba nocca? Se non si sta attenti può ammazzare o far diventare matti”. Prese dalla tasca un fazzoletto da uomo tutto sgualcito e, passatoselo fra indice e pollice, sbarbò con molta attenzione una piantina che io sapevo esser un Elleboro di Boccone. Ci disse: “Attenti a toccare questa pianta a mani nude perché è velenosissima, mortale, chi la tocca senza fazzoletto muore o diventa matto. Noi da piccini, quando il maiale era malato, su ordine di’ babbo s’andava a raccoglie’ le radici di questa pianta con un panno bianco che lui ci dava e poi dopo raccolta, senza mai toccarla con le mani, di ravvolgeva per bene nel panno. A casa il babbo tagliava dalla radice uno steccolino, faceva un buco nella pelle di’ maiale dietro l’orecchia e ci infilava lo steccolino, Di solito il maiale guariva ma qualche volta diventava matto e poi dopo pochi giorni spesso moriva. Quando succedeva i’ mi babbo diceva ‘meglio se fosse morta la mi’ moglie invece di’ maiale!!’”

I bambini subito rimasero ammutoliti e un po’ spaventati, le maestre cominciarono in modo quasi automatico a far allontanare i bambini da quell’uomo con la pianta mortale… Io che conoscevo la pianta tentai di sdrammatizzare e portai via la scolaresca ormai in subbuglio con la scusa che si stava facendo ormai tardi.

Questo racconto mi aveva assai incuriosito e decisi di fare ricerche approfondite per dare una spiegazione scientifica all’uso della pianta nella tradizione contadina.

A seguire vi racconterò quello che ho scoperto in proposito.

Descrizione e habitat

L’Elleboro verde di Boccone (Helleborus viridis subsp. bocconei), è una specie erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Ranunculaceae, può raggiungere un’altezza di 50 cm. Ed è dotata di un apparato radicale rizomatoso di colore bruno.

Le foglie basali, che nascono dopo la fioritura, sono grandi e il loro picciolo può raggiungere la lunghezza di 40 cm., suddivise in numerosi segmenti stretti, lanceolati e con margini dentellati, sono di colore verde chiaro con nervature della pagina inferiore e spesso sono svernanti.

Il fusto fiorale, emesso prima delle foglie, porta fiori grandi il cui diametro può raggiungere i 5 cm.; i fiori, formati da 5 sepali allargati di forma ellittica, sono dapprima di colore biancastro per poi tendere al verde chiaro-giallastro e sbocciano da gennaio ad aprile.

La specie è presente nell’Italia centro-meridionale in boschi cedui o in radure all’interno di boschi e in siepi fresche e ombrose fino a 1700 m. s.l.m. E’ frequente trovarlo nei nostri boschi misti.

La specie non è a rischio.

Miti, leggende ed uso nel tempo

Del genere Helleborus, che comprende 15 specie e 6 sottospecie di cui una decina presenti in Italia, non è ben nota l’origine del nome: potrebbe derivare dalla parola semitica ‘helebar’ che in greco indicava una pianta utilizzata per contrastare la follia; oppure dalla parola greca ‘helein’ = far morire, data la tossicità di tutte le specie appartenenti al genere. Il nome della sottospecie è dedicato al monaco cistercense e botanico siciliano Paolo Boccone che nella seconda metà del 1600 ne studiò le caratteristiche.

Tutti gli Ellebori contengono oltre ad altri alcaloidi tossici, uno in particolare chiamato “elleborina” che se ingerito può provocare vomito, diarrea e arresto cardiaco. La parte più tossica è il rizoma ed è stato accertato che il veleno può essere assorbito anche attraverso la pelle.

E quindi tornando all’Elleboro verde di Boccone, quanto detto dall’anziano contadino… tutto vero!!

Ho scoperto inoltre che nelle nostre campagne, come in altre aree, questa pianta in passato era conosciuta con il nome di “erba nocca” perché veniva usata anche dai veterinari per annoccare, cioè curare alcuni animali come capre, pecore, maiali e mucche quando erano colpiti da un ascesso cutaneo.

La radice veniva messa nella parte colpita che, rilasciando l’elleborina, stimolava le difese dell’organismo facendo esplodere il rigonfiamento causato dall’infezione. Agli animali “annoccati” rimaneva così una cicatrice ben visibile per cui in caso di vendita perdevano valore.

Questa specie in passato fu usata anche nella medicina popolare, Ippocrate per esempio si dice che la somministrasse come rimedio lassativo e diuretico. Inoltre già nell’antichità era usata come  allucinogeno e per curare alcuni disturbi psichici. Tutti gli alcaloidi e le saponine presenti nella pianta  sono velenosi e assai irritanti per lo stomaco e l’intestino.

Pare inoltre che alcuni filosofi e pensatori in passato ingerissero piccole quantità di Elleboro per cadere in uno stato ipnotico molto simile alla meditazione profonda.

Nel VI secolo a.C. l’Elleboro fu usato anche come arma durante una guerra tra la Lega anfizionica  delfica, nata per proteggere il tempio di Apollo di Delfi, e la città di Cirra. La Lega avvelenò i pozzi della città di Cirra usando l’Elleboro così i soldati indeboliti dalla diarrea non poterono reggere l’assalto, la città venne espugnata e tutti gli abitanti vennero uccisi.

Sull’Elleboro esistono numerose leggende e miti: una di queste ci narra che Eracle guarì dalla pazzia grazie a questa pianta; pare che i Greci usassero l’espressione 

“hanno bisogno dell’Elleboro” per indicare i malati di mente.

Inoltre la mitologia greca narra che il pastore Melampo, osservando alcune sue pecore mentre si purgavano cibandosi di piante di Elleboro, pensò di usarlo dandolo da mangiare alle figlie del re di Argo colpite da follia. Le ragazze guarirono e per ricompensa Melampo ebbe la mano di una delle principesse e una parte del regno.

Gabriele D’Annunzio

Gabriele D’Annunzio, nella tragedia La figlia di Iorio, cita in questa sua opera il più noto e meno tossico Elleboro nero (Helleborus niger) come rimedio contro la pazzia: “Vammi in cerca dell’Elleboro nero, che il senno renda a questa creatura”.

Autore: Maddalena Zuddas
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