Le serre ottocentesche da incubatori di piante a incubatori di cultura in Toscana come in Europa.

Le serre ottocentesche evoluzione di secoli di sperimentazione di strutture atte alla produzione/conservazione di coltivazioni in area protetta che affondano le loro radici in epoca romana, rappresentano un esempio interessante oltre che evoluto di architettura bioclimatica attiva. 

Sono strutture infatti che consentono di ottimizzare non solo l’apporto dell’irraggiamento solare e del calore generato conseguentemete all’interno ma anche il consumo di acqua.

I terrari in barattolo di vetro che vanno tanto di moda e trasportano pezzi di esotismo nelle nostre case sono miniature semplificate di queste enormi macchine tecnologiche di acciaio e vetro che a seconda della tipologia di coltivazione o d’uso potevano garantire un clima specifico: asciutto, umido, caldo, fresco grazie al supporto sia di sistemi meccanici a carrucole per l’apertura modulata delle vetrate, sia di veri e propri impianti con stufe e condotti metallici a pavimento per il riscaldamento ottimale degli ambienti.

Dalle aiole mobili raccontate da Plinio il Vecchio e protette da da piccole lastre di vetro o da pietre trasparenti come la mica, che venivano usate per produrre i cetrioli tanto amati dall’imperatore Tiberio (42 a.C.-37 a.C.) sono passati moltissimi secoli prima che la tecnologia si evolvesse al punto da poter consentire di usare grandi lastre di vetri uniformi e piatte affiancate a strutture metalliche (ghisa e ferro) in grado di superare i limiti prestazionali del legno.

Per questo solo dopo il 1692, quando la Francese Saint Gobain riuscì a produrre vetri piani con il metodo della cilindratura, la spinta alla ricerca e alla costruzione di strutture sempre più evolute e performanti fu esponenziale e portò alle più moderne e scenografiche strutture in cui è facile imbattersi in tanti Orti Botanici o Giardini Italiani ed Europei, veri e propri scrigni di mondi lontani in cui il collezionismo a scopo ricreativo o didattico/scientifico divenne preponderante rispetto alla mera conservazione produzione di ortaggi o piante importate d’oltreoceano. 

Il loro uso nei secoli a venire non sempre è rimasto collegato alla funzione originaria soprattutto quando non contenute negli Orti Botanici ma in grandi giardini negli anni divenuti pubblici: svuotate dalle piante e dal loro uso preponderante spesso queste strutture sono diventate contenitori vuoti.

Questo tipo di destino accomuna Serre in varie parti d’Europa che nella scia della nuova tendenza allo sviluppo di produzioni culturali e creative come motore economico e sociale delle nostre città e campagne, da macchine bioclimatiche dismesse hanno ritrovato una nuova vita in filoni di produzione di nuova generazione. 

A Firenze ad esempio nei giardini dell’Orticoltura troviamo il tepidarium del Roster, serra progettata dall’omonimo ingegnere ed architetto italiano nel 1878 su incarico della società Toscana di Orticoltura per ovviare alla “deficienza di locali coperti nel giardino sperimentale” e ospitare l’Esposizione nazionale dell’orticoltura che si tenne a Firenze nel maggio 1880.

L’edificio ha ispirato la costruzione da parte del Sansedoni, già socio dalla fine dell’Ottocento della Regia Società Toscana di Orticultura, di una serra di diversa concezione certo ma di innegabile suggestione contenuta nella tenuta di Monaciano. 

In questa tenuta la serra occupa una posizione centrale ed era destinata originariamente alla produzione di ananas per la famiglia. Attualmente la grande serra calda in vetro e muratura, con un impianto di riscaldamento ancora in uso, unica struttura nel suo genere ancora presente nella zona, non ha perso la sua funzione primaria e al suo interno ospita collezioni di felci, anthurium, begonie e orchidee.

Il tepidarium del Roster invece ha subito come dicevamo un destino diverso. Questo piccolo gioiello che non aveva precedenti in Italia dalla prima guerra mondiale in poi ha subito un inesorabile declino fino a quando già nelle mani del Comune fiorentino fu restaurato negli anni Trenta e poi nuovamente negli anni Duemila.

Da questo momento in poi ha ritrovato la sua essenza e il suo carattere polifunzionale diventando protagonista nelle mostre dell’Orticoltura che da anni vengono organizzate nell’omonimo giardino ma soprattutto ospitando mostre ed eventi a tema che sfruttano la suggestiva ambientazione per coinvolgere i visitatori in esperienze uniche e indimenticabili come quella del famoso te con le farfalle di diversi anni fa.

Il fil rouge nei secoli per questi edifici resta la scoperta di mondi nuovi non sempre tangibili spesso immaginifici e il benessere generato dall’esperienza che questi luoghi ancora una volta sono in grado di offrire, una nuova vita che non ne snatura l’essenza ma si adatta ai nuovi tempi e modi di vivere.


Autrice dell articolo Architetto Nunzia De Comite