IL NUOVO VOLTO DI CASTELLINA IN CHIANTI
Lo STUDIO MILANI con l’architetto De Comite sono ormai da tempo i nostri professionisti di riferimento per la progettazione di parchi e giardini per la nostra azienda
Restyling contemporaneo:
ricucitura di ferite o resilienza attiva?
Castellina in Chianti è un paese particolarmente interessante per la sua posizione al confine tra due province, Siena e Firenze, in competizione più o meno bonaria attraverso i secoli. Inserita nell’ambito del vasto territorio del Chianti Classico, con una storia che affonda le proprie radici in epoca Etrusca, architettonicamente è stata caratterizzata in maniera rilevante nel Quattrocento dalla sua Rocca in pietra con il relativo camminamento, oggi via delle Volte, lungo il crinale nord del paese.
Castellina in Chianti con i suoi 578 metri sul livello del mare è il borgo tra i Comuni del Chianti Classico più alto e con un’apertura sulle vallate al suo intorno unica rispetto alle strette valli del territorio Chiantigiano. E’ indiscutibile l’ampiezza e la poeticità dei tramonti tra i più suggestivi del Chianti Classico.
Prima del vino però a Castellina, nel dopo guerra, si puntò sulla produzione di mangimi per cui a fronte di un territorio capace di evocare poesia di pace e infinito, fu applicata una certa prepotente violenza estetica nella forma, dimensione e scelta infelice della collocazione di una delle maggiori aree produttive della famiglia Niccolai.
I Niccolai hanno esercitato nell’ambito della molitura di cereali fin dagli anni 30 del Novecento. Sul finire degli anni 50 la loro attività si estese alla lavorazione di carni (San Rocco a Pilli e Monteriggioni), alla gestione di allevamenti (Castellina e San Gimignano) ma soprattutto alla produzione di alimenti zootecnici con la creazione di due mangimifici uno a Castellina e uno a Napoli.
La famiglia raggiunse una certa notorietà anche a livello nazionale tanto da accreditarsi come marchio garanzia di qualità e affidabilità.
Il loro picco produttivo fu raggiunto negli anni Settanta con oltre 200 unità impiegate, rappresentando nel caso di Castellina la principale fonte di sviluppo economico e occupazionale. Questo comune infatti passò dall’essere economicamente “insufficientemente sviluppato” ad uno dei paesi con maggiore reddito procapite nella provincia di Siena.
La mono attività ha costituito un rischio ma soprattutto ha aperto spiragli di discutibile lassismo nelle scelte formali oltre che di congruità del posizionamento e della dimensione accettabile di un’area produttiva all’interno di un borgo medievale.
Se gli allevamenti Niccolai furono collocati in una vallata nelle immediate vicinanze e del centro storico, per questo non immediatamente in relazione formale e dimensionale con la Rocca, i Molini furono “trapiantati” proprio nella parte alta della collina su cui giace il paese e dal versante sud hanno completamente oscurato la forma e la storia architettonica dell’ aggregato murato di Castellina.
Su questo corollario introduttivo si apre la nostra conversazione sulla congruità di queste specifiche scelte urbanistiche, sulla legittimazione delle stesse rispetto alla necessità del lavoro e di un congruente/richiesto sviluppo economico, oltre che sulla modalità e correttezza di azione nel momento in cui finalmente si arriva a “correggere” una tale imperdonabile svista che in virtù del lavoro e del benessere dimentica il genius loci tanto caro alla nostra tradizione architettonica e così distintivo del nostro pensare l’architettura e lo spazio urbano.
Entrando a Castellina proveniendo da Siena o da Firenze quello che senza dubbio resta nella mente è l’idea di fuori scala dei Molini Niccolai appollaiati nel punto più panoramico e visibile del crinale su cui sorge la Rocca. Esibire la produzione di lavoro e ricchezza era il must dell’epoca o forse di quella retorica della politica che salvando i territori dal loro destino di spopolamento e improduttività si è sentita legittimata ad agire in maniera “dimostrativa”. Niente di nuovo o mutato, ancora oggi nelle intenzioni della politica la propaganda vince su qualunque valore oggettivo. Oggi però alcuni concetti come quello di paesaggio e di qualità architettonica da applicare anche a ciò che produce e nell’immaginario può essere solo brutto e sporco, sono cresciuti e vanno di pari passo con una più consapevole e responsabile programmazione dei territori. E’ cresciuta anche la volontà di sviluppare un comune senso civico in grado di comprendere le nuove strategie improntate al bene collettivo come anche di migliorare per quanto possibile la qualità della vita dei cittadini e quindi dello spazio urbano in cui agiscono.
Come sempre accade soprattutto in paesi come il nostro in cui c’è il bisogno genetico di aggirare l’autorità e le regole, dal possibilismo dimostrativo e all’apparenza e spesso nei fatti prepotente, dell’ urbanistica di cinquant’anni fa, siamo passati alle più rigide e cavillose norme sul paesaggio di oggi che incasellano l’azione di ciascun progettista in una sorta di abaco delle azioni o dei formalismi possibili o accettabili. Questa codifica dei materiali e delle forme che descrivono quel vernacolo apprezzabile e accettabile per tutti certo tutela le amministrazioni e i territori dall’architetto incapace ma per contro mortifica la ricerca formale oltre che la capacità immaginifica di coloro che essendo “architetti” e quindi creatori di possibili nuovi scenari e utopie, applicano la loro conoscenza e ricerca alla visione dei territori declinandola in maniera specifica e unica per ogni territorio.
Nel caso dei Molini e Mangimifici Niccolai, dopo diversi anni di progetti e valutazioni paesaggistiche ed economiche che potessero finalmente giustificare la spesa di una loro demolizione e sostituzione con architetture più congruenti con le necessità attuali, siamo arrivati finalmente al momento dell’azione.
E’ stata avviata infatti il mese scorso la demolizione della cosiddetta Pesa cui seguirà quella del Molino Nuovo per la realizzazione di un nuovo complesso residenziale e commerciale progettato dallo studio Milani che negli anni ha portato avanti un minuzioso lavoro formale e concettuale sull’architettura contemporanea realizzabile, guadagnandosi con tre opere, un posto nell’ambito della ricerca “L’architettura in Toscana dal 1945 ad oggi. Aggiornamento della selezione delle opere di rilevante interesse storico artistico” che la Fondazione Michelucci sta svolgendo per conto della Direzione Generale Creatività contemporanea del Ministero della Cultura e del segretariato regionale per la Toscana sempre del MIC.
La demolizione ormai necessaria anche per un tema di sicurezza, data la pericolosità di alcune strutture deteriorate dal tempo e dal non uso, garantirà anche le necessarie operazioni di bonifiche di quanto quella produzione ormai scomparsa possa aver lasciato avviando un ineludibile e improcrastinabile percorso di riqualificazione complessiva di Castellina in Chianti.
Nei prossimi incontri affronteremo il tema delle tecniche di demolizione e della scelta di demolire contrapposta a quella del recupero e riuso, ci confronteremo con uno dei portatori della memoria storica delle vicende legate alla dismissione dei Molini Niccolai nonché presidente della Castellina Futura, Società formata in gran parte da cittadini locali che è stata promotrice del piano di recupero dell’intero complesso, come anche con gli architetti che hanno portato fino in fondo questo percorso di codifica e ridefinizione di un pezzo di città secondo canoni contemporanei che rileggendo le tracce dell’ esistente le hanno reinterpretate con l’intento di non rinunciare alla bellezza come anche al benessere dei futuri abitanti di queste nuove architetture.