GUIDO MITIDIERI
Artista e Architetto
Fatti conoscere
Articoli come questo, che escono su riviste specializzate hanno un certo scopo, che è quello di promuovere e far conoscere differentiautori e il loro lavoro ad un pubblico di interessati e collezionisti. L’intenzione di chi opera in tal senso è nobile e meritevole del nostroriconoscimento che esprimiamo con sincerità alla redazione tutta, e ai lettori, che in periodi difficili come questo (crisi economica,politica, sociale, ambientale) dedicano del tempo alla lettura di un fascicolo che si occupa di quanto sembra di più lontano dai nostri problemi immediati. Ma cosa significa “fare conoscere”. A partire dallo scioglimento rigoroso di questa espressione mi propongo disviluppare una riflessione che accompagnerà il lettore a incontrare l’opera artistica di chi sta scrivendo queste parole: Guido Mitidieri,architetto e artista concettuale nato a Firenze nel 1990.
Cominciamo con il soffermarci sul significato delle parole.
Alla domanda, cosa significa conoscere, hanno dedicato attenzione più o meno tutti e tutti hanno dato risposte diverse: empiristi,innatisti, scienziati, filosofi, uomini di letteratura. Tuttavia il tratto essenzialmente comune ad ognuna di queste prospettive è questo:esse intendono l’atto conoscitivo come l’azione libera di un soggetto che si rivolge verso una realtà esterna e che esiste di per sé. Siamo tutti più o meno convinti di comprendere dimensioni particolari e oggettive che esistono indipendentemente al di fuori della nostra mente: capiamo questo, o quest’altro, compiamo questa o quest’altra operazione. Apriamo una finestra, sfogliamo la pagina di unarivista, prendiamo una boccata di aria fresca.
Per quanto riguarda invece il verbo fare esso esprime la capacità di trasformare la realtà, cioè le cose particolari che la costituiscono. Il fare si riferisce quindi a qualcosa che non essendo ancora, incomincia ad essere, giacché se fosse già totalmente non si direbbe un che di fatto, cioè di prodotto, oggetto di prassi.
Proviamo a fare un passo ulteriore e a mettere insieme queste due strutture di significati. Abbiamo due momenti, per comodità li indichiamo con le lettere A e B. A parla e si rivolge a B usando la formula “ti devi fare conoscere”. Se diamo per buono il ragionamento fin qui condotto rileviamo quanto segue: B è originariamente ignoto ad A. Solo per questo a ciò che è ignoto, A dice di rendersi noto, cioè conosciuto. Così facendo, B, che è vissuto come ignoto da A, è vissuto anche come noto, se non altro limitatamente alla sua capacità di diventare da non noto, noto, da realtà indipendente ed oggettiva rispetto ad A a realtà conosciuta. In questo modo B è investito da una contraddizione insolubile, egli esiste e non esiste indipendentemente da A.
Ma come può A, che non conosce B, sapere che B è agente in grado di fare di sé stesso un oggetto di conoscenza?
Questo è possibile solo per la decisione di A. La certezza di A è volontà di certezza, è la decisione che qualcosa sia certo, e quindi essenzialmente è dubbio. Non solo. Ma B, cioè l’altro che apparterrebbe alla realtà oggettivamente esistente, non può “fare” sé stesso cioè avere sé stesso come oggetto della propria attività creatrice.
E se non altro per questo motivo, perché se il produttore avesse a produrre la totalità della manifestazione del mondo, il produttore starebbe al di fuori della manifestazione del mondo, e quindi sarebbe qualcosa di ignoto, di ignoto anche a sé stesso!
Questa segreta solidarietà insieme alla fede nell’assurdità di tale costruzione concettuale è ciò cui i miei scritti si rivolgono. Li chiamoscritti anziché opere, perché pur essendo considerati oggetti di arte visiva, essi sono realizzati in una forma che ricorda la scrittura. Essi sono il risultato di una serie di gesti programmati esercitati in una dimensione delimitata: servendomi di una penna a sfera Bic traccio manualmente delle linee parallele che vanno a comporre dittici di opere monocromatiche astratte.
La linea è il fulcro teorico e visivo ditutta la produzione. In essa si raccoglie tutta l’ambiguità del segno e del gesto, i due volti della contraddizione che si articolano in una struttura coerente.
La linea è come la traccia originaria di una decisione inconscia della Volontà. In questo gesto essa non siavvede di volere l’essere niente dell’essente.
IAll’interno di questo modo di pensare inconscio, ogni essente è un’illusione, cioè esistecome il determinato e positivo significare della sua impossibilità di essere. Così le mie linee, per quanto numerose, dense, certe della loro certezza di poter arrivare a cogliere l’essenza della realtà, l’essenza dell’altro, sono come il ritratto del sogno di un sogno.
l sogno della Volontà, che non potendo veramente ottenere il divenire delle cose, ne sogna il movimento. I quadri realizzati vanno a comporre un ciclo artistico che andrà costituendosi di 200 pezzi, divisi in 4 serie ognuna di 50 opere ciascuna, una per ogni colorebase della penna Bic: blu, nero, rosso, verde.
Se si comprende che questa separazione della Volontà è immediatamente autocontraddittoria, cioè impossibile, si comprende che l’essente separato dalla Necessità del suo essere ciò che è, dove il ciò e l’è sono pensati come originariamente uniti, non esiste e non potrà mai esistere. In questa luce allora anche i miei tratti assumono dei contorni differenti, e anch’essi vivono il contrasto essenziale tra la volontà del sogno, e l’autonegazione della negazione dell’essersé.
Rendo merito al lavoro filosofico e concettuale del maestro filosofo Emanuele Severino del quale mi riconosco debitore di alcunitratti della forma linguistica fin qui utilizzata.
Per il momento ci portiamo dietro molti debiti nei confronti di chi ci legge, scusandoci se siamo sembrati difficili nell’esposizione ma a volte la complessità è inevitabile quando si cerca di capire cose così vicine che ci stanno davanti in ogni momento della nostra vita.