Gli Alberi MONUMENTALI del Comune di Radda in Chianti
di Mauro Carboni foto di Antonio Carloni
Monumenti viventi
Monumenti viventi. Sì, è così che dobbiamo chiamarli perché è di fatto quello che sono: grandi come chiese, alti come torri medievali, imponenti come statue e colorati come dipinti. In una parola: alberi.
È vero, sono fatti di legno, ma non per questo sono fragili, non li ha costruiti l’uomo, ma non per questo sono meno importanti o preziosi. Un albero monumentale è intriso di storia e di cultura: una cultura semplice, fatta di persone. Persone che li hanno piantati, che li hanno cresciuti, persone che hanno vissuto per generazioni sotto le loro fronde, si sono cibati dei loro frutti, si sono riparati sotto le loro chiome o hanno goduto della loro ombra. Queste piante sono state testimoni di quel luogo, della sua gente e delle sue storie. Oggi sono ancora lì, come un libro aperto, a raccontarci quello che hanno vissuto. Sì, perché le piante ci raccontano e ci parlano tutti i giorni, basta solo saperle ascoltare. Ci dicono quello che hanno vissuto dalla loro forma, dalle cicatrici che portano, dai segni che il tempo o l’uomo ha donato loro. Ci indicano anche come stanno oggi e rivelano le intenzioni di sviluppo futuro.
Attenzione però, a differenza di un’opera d’arte che è inanimata, le piante sono vive! Questo significa che sono più fragili perché non possono essere restaurate se si ammalano, una volta seccate sono perse per sempre.
Ecco che meritano, per questo e per molto altro ancora, una profonda ammirazione. Ammirazione, è questa è la sensazione che ho provato quando insieme ai miei compagni di viaggio: Renzo Centri, Martino Danielli e Antonio Carloni abbiamo intrapreso questo indimenticabile percorso alla scoperta degli alberi monumentali del comune di Radda in Chianti, fortemente voluto e sponsorizzato da Augusto Bianciardi di Chianti General Service.
Abbiamo battuto a tappeto tutto il territorio comunale alla ricerca dei più antichi patriarchi che ancora adornano questo stupendo angolo di Toscana e per fortuna ne abbiamo trovati tanti.
Sono una decina gli esemplari più importanti di cui il comune di Radda può fregiarsi, appartenenti a diverse specie.
Certamente non può mancare il cipresso che rappresenta per definizione il paesaggio toscano. Si trova presso la cantina Arillo, una pianta enorme alta 25 metri, certamente di oltre 150 anni di età e voluta lì non sappiamo da chi,
forse per marcare un confine oppure ultimo testimone di un antico filare che segnava la direzione della strada da o verso Radda.
Non mancano le piante esotiche: ecco che in centro, di proprietà dell’hotel “La Perla del Palazzo”, troviamo un tasso del Giappone, pianta molto rara in Italia che fa sorgere immediatamente il dubbio su chi e perché l’abbia collocata
in quel luogo. L’arcano è presto svelato dal titolare dell’hotel che ci illumina raccontandoci che il vecchio proprietario di quella che un tempo era una cantina era Odoardo Beccari, direttore dell’orto botanico di Firenze tra la
fine del 1800 e l’inizio del 1900. Fu probabilmente la sua passione per la botanica a giustificare la scelta di quella particolare pianta.
Non possono mancare le querce che sono rappresentate da tre esemplari: un cerro, una farnia e una roverella. Tutte quante di quasi 4 metri di circonferenza e 20 metri di altezza. Il cerro si trova proprio in località denominata “La
Sughera”, zona nota sin da antica data per la presenza di querce. Interessante notare che in prossimità di questa pianta è presente un rudere di una vecchia cascina. Mi piace pensare che i loro vecchi proprietari si ritrovassero
sotto la sua chioma per trovare refrigerio durante le calde serate estive.
Del resto, le querce erano piante molto importanti un tempo: venivano dette “da pascione” ossia da ghianda. Fatte crescere ai bordi di una strada o di una casa, regalavano in autunno le preziose ghiande che servivano ad alimentare
i maiali durante l’inverno.
Un’altra pianta molto rappresentativa è il gelso e numerosi ne abbiamo trovati presso la pieve di Santa Maria Novella, uno dei più notevoli esempi di
architettura romanica del territorio. Un tempo il gelso era un albero importante nell’economia domestica perché con le sue foglie si alimentava il baco da seta che poi veniva venduto alle filande per la produzione del noto
tessuto.
Il più bello e caratteristico si trova nell’angolo meridionale del sagrato: ha una forma bizzarra, a “ipsilon” completamente cavo. La bellezza delle piante vecchie è anche questa: nonostante siano malconcie e la parte vitale sia ridotta ad un sottile strato di legno attorno alla corteccia, possono godere di ottima salute. Con questa capacità unica, gli alberi, sanno resistere alle angherie dell’uomo e del tempo.
Per ultimo, ma non per questo meno importante, rimane l’acero campestre di San Marco di Selvole, luogo ormai dimenticato che si raggiunge solo a piedi o in fuoristrada. Si trova in prossimità di una vecchia cascina abbandonata che un tempo ancora più antico doveva essere una chiesa o un convento. Il tempo si è fermato in questo luogo dove la natura sembra portare rispetto all’edificio sacro costruito dall’uomo. Intorno tutto sembra rimasto come sessanta anni fa, quando gli ultimi agricoltori vissero in questo angolo sperduto del Chianti coltivando uva alla vecchia maniera. L’acero con i suoi rami sosteneva la vite in un intreccio amoroso che veniva chiamato “maritato”.
Spero che questo breve racconto vi faccia nascere curiosità per questi alberi monumentali, vi invito infatti ad andarli a scoprire. Andateli ad abbracciare, a fotografare, postateli sui social e soprattutto andateci con i vostri figli. Farete a voi e a tutti quanti un bellissimo regalo intriso di cultura e rispetto nella bellissima terra del Chianti.
Mauro Carboni