Frida Khalo: viva la vida
La pittrice messicana delle nature vive.
a cura della Dott.ssa Vera Marcolini
La famosa pittrice messicana si è spenta a soli 47 anni, settanta anni fa, nel luglio del 1954, lasciando a tutti noi una ricca eredità: circa duecento quadri ed una preziosa lezione di coraggio ed amore smisurato per la VIDA.
Quando tutto sembrava ostacolare la sua felicità, quando era costretta dal dolore in un letto di ospedale, quando la morfina e l’alcool le impedivano di pensare e lavorare, lei continuava a lottare per godere del colore e della vita.
Carattere ribelle fin da piccola, diversa dalle sue sorelle, troverà nella sua fervida fantasia, spinta al punto da inventare un’amica immaginaria, il modo per estraniarsi da tutto ciò che le faceva male e trovare una vera compagna con cui giocare. Piena di energia si arrampicava sugli alberi, ma a sei anni fu colpita dalla poliomielite ed il suo mondo cambiò, ma Frida riuscì con l’aiuto “dell’amica immaginaria allegra e ridanciana e agile” a ritornare a camminare ed anche a scuola, dove però dovette sopportare i commenti crudeli dei suoi compagni: “gamba di legno” oppure “zoppa”.
Si estraniò da tutto ciò e cominciò a disegnare fiori, senza tristezza, ma in una solitudine immaginifica.
Nata in piena rivoluzione Zapatista, entrò nella vita pubblica appoggiando in modo molto attivo il partito comunista e questo impegno non la lasciò mai.
Fu una delle 35 ragazze ammesse a frequentare la Scuola Nazionale, in cui trovò difficoltà per la disciplina, ragazza libera e piuttosto fuori dalla norma per il periodo ed il mondo messicano. Il 1925 fu per lei un anno fatale: diciottenne fu vittima di un gravissimo incidente con l’autobus sui cui viaggiava che si scontrò con un camion e Frida non si sa come ne uscì viva, ma trafitta e spezzettata in molte parti del corpo. Mesi di ospedale, molte operazioni con conseguenze complicate, che resero tutta la sua vita un calvario e soprattutto crearono le condizioni per cui, per lei, fosse quasi impossibile avere bambini. Sarebbe stato il suo più grande sogno, ma dopo tanti aborti, non potè coronarlo mai.
Nel 1929 sposò Diego Rivera, famoso pittore di murales a sfondo quasi sempre politico, molto più grande di lei per età e piuttosto libero nell’avere amanti ovunque. Resterà comunque il più grande amore della sua vita, anche se con lucida ironia diceva: ” Ho subito due gravi incidenti nella mia vita, il primo è stato quando un tram mi ha travolto e il secondo è stato Diego”.
Con lui viaggiò per Stati Uniti (da lei chiamati Gringolandia) da San Francisco a New York, fino a Detroit, città che lei detestò perché troppo diversa dal suo Messico.
Nel 1931 dipinse una delle opere più conosciute “Frida e Diego “ (prima lei poi lui, questo dice molto del suo temperamento) in cui appare chiara la sua nostalgia per la sua “casa azul”ed il profondo dolore amore cha la lega a Diego, con la particolarità dell’inserimento di un testo in un cartiglio, come se fosse un ex voto e ciò ri ripeterà in tanti suoi dipinti.
Si intensificò anche il suo rapporto particolare con la sessualità sfrenata, sempre legata fortemente a Diego, ma che si svolse anche con altri uomini ed anche donna.
Il legame più famoso fu con Troztky, fuggito dalla Russia leninista che si sviluppò sia da un punto di vista fisico che per la forte appartenenza politica.
Fra il 1930 e 1934 ebbi vari dolorosi aborti, che peggiorarono la sua salute , ma non abbatterono la sua voglia di combattere e si trasformarono in molti quadri crudamente reali. Nel 1938 tenne la sua prima personale a New York esponendo molti dei suoi famosi autoritratti con quel volto apparentemente sempre uguale, ma che si identificano per il tratto forte e ricco di colori.
Nel 1939 divorziò da Rivera, visto che era riuscito a tradirla con la sorella Cristina, per poi risposarlo un anno dopo: non riuscivano a stare lontani anche se ognuno continuava la propria vita spericolata.
Le sue opere si fanno sempre più surrealiste, tanto che nella esposizione di Parigi Andrè Breton (altro amore di Frida) la definisce “una surrealista creatasi con le proprie mani”. Ma Frida altera risponde “Pensavano che che anche io fossi una surrealista, ma non lo sono mai stata. Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni .”
Nel 1946 subì l’ennesima operazione alla colonna vertebrale che la costringerà serrata in un terribile busto di acciaio. Tutte le sue opere successive sono lo specchio della sua sofferenza, ma alla fine riuscirà sempre a gridare Viva la Vida.
Nel 1953 finalmente riuscì ad inaugurare una sua personale a Città del Messico che ne confermò la grandezza, ma nello stesso anno le venne amputata la gamba malata. Iniziò così l’ultimo suo anno di vita, distrutta dalle massicce dosi di morfina e dall’aggravio dal suo amore per la Tequila: un binomio decisamente micidiale.
Vorrei narrare di una cena che lei fece preparare poche settimane prima di andarsene, in cui furono apparecchiati nel giardino della sua casa Azul cento coperti con una invasione di fiori e frutti colorati ed esplosivi come erano stati i suoi abiti e le sue nature vive. Frida partecipò distesa su di un letto a baldacchino vestita di bianco, bevendo tequila, atteggiata come la compagnera che era sempre stata.
Se ne andrà in luglio per una embolia.
Divenne un’icona dell’arte, della moda, di un sentimento di libertà del “sesso debole”. La sua modernità sta nell’avere messo in scena se stessa, forgiando un personaggio molto attuale usando forme naif, surrealiste mischiate a brillanti colori caraibici.
“Frida è acida e tenera, dura come l’acciaio e delicata come l’ala di una farfalla. Adorabile come un bel sorriso e crudele come il gusto amaro della vita.”
Parole di Diego Rivera.