Intervista al Prof. Renato Stopani
di Deborah Montagnani
GAIOLE
Perché “Chianti longobardo” ?
Si tratta di un argomento mai trattato sin ad ora, tanto è vero che la bibliografia sul tema è praticamente inesistente.
Cosa sappiamo dei Longobardi nel Chianti. Quando vi giunsero, per quali vie, dove si stabilirono ?
Di tutto ciò non sappiamo niente, poiché non esistono fonti scritte (documenti) che ne parlino, per cui siamo costretti a fare delle ipotesi al riguardo. A lavorare su indizi.
E’ lecito allora chiedersi: quali sono tali indizi?
Per quanto concerne i percorsi seguiti dai longobardi per arrivare in Chianti (precisiamo: nel Chianti come lo intendiamo oggi, perché
nel VI-VII secolo, quando i Longobardi vi arrivarono, è assai probabile che per Chianti si intendesse soltanto la valle del torrente Massellone, affluente dell’Arbia) non potevano che essere le strade romane esistenti, e cioè: la
via Cassia. che transitava ai piedi dei monti del Chianti (Valdarno superiore, val d’Ambra), la “Florentia-Saena”, che si svolgeva sul crinale tra val di Pesa e Valdelsa, e la strada di penetrazione nella regione, quella che nel
Due-Trecento era chiamata la “strata de Chianti”, antenata della “via Chiantigiana).
Circa i luoghi ove i Longobardi si insediarono, i principali indizi ce li offre la toponomastica, con quei nomi di luogo che sono derivati da personali (nomi di persona) germanici (ad esempio : Bernardo, Rinaldo, Benico, Rappo,ecc.); oppure da cose, piante, oggetti che hanno conservato l’originario etimo longobardo, più o meno italianizzato (ad esempio: “gualdo”, da “wald” = bosco ; “sala” = resedio signorile; “brolio” = terreno recintato; ecc.).
Tuttavia la sola toponomastica non può bastare, sia perché i personali germanici hanno continuato ad essere usati anche secoli dopo l’arrivo dei Longobardi, sia perché certi termini “longobardi” entrarono a far parte della lingua italiana in formazione.
Allora per confermare le ipotesi offerte dalla toponomastica di che cosa possiamo disporre ?
Le fonti scritte, abbiamo detto, sono pressoché inesistenti, ma qualcosa c’è. Ad esempio possediamo gli atti (VIII secolo) di una controversia tra i vescovi di Siena e di Arezzo circa la giurisdizione su alcune chiese al confine tra le due diocesi, con l’intervento di un rappresentante del re Liutprando. Una delle chiese disputate era chiantigiana (la pieve di San Vincenti).
Oppure in taluni documenti più tardi (XI secolo) dei nobili dicono di “vivere secondo leggi e consuetudini longobarde” (è il caso dei signori di Monterinaldi) : è ragionevole supporre che fossero discendenti degli antichi invasori.
Ci sono poi (anche se non molti) i reperti archeologici rinvenuti in certe località e, soprattutto, ci sono le persistenze architettoniche (edifici religiosi che hanno conservato almeno in parte le originarie strutture preromaniche)
e i reperti scultorei databili VIII-IX secolo che si trovano in alcune chiese).
Sulla base di tutti questi indizi è possibile individuare i probabili insediamenti longobardi nel Chianti, auspicando che possano essere aggiunti altri elementi indiziari che ci consentano di delineare un quadro più completo della “longobardizzazione” della regione chiantigiana.
